L’eurodeputato spagnolo Bidegain spiega perché la solidarietà in Europa è così difficile.
«Noi spagnoli abbiamo dato 26 mila milioni di euro, per aiutare la Grecia nei momenti più drammatici della sua crisi. Ma non lo abbiamo certo fatto perché poi cercasse di regalare ai suoi cittadini dei privilegi che nessuno spagnolo, e nessun cittadino dell’eurozona, ha mai avuto».
Pablo Zalba Bidegain, 40 anni, eurodeputato del Partito popolare europeo e vicepresidente della commissione Affari economici e monetari dell’Europarlamento, è considerato il portavoce della generazione più giovane dei politici spagnoli. Quelli, appunto, che insieme con i colleghi portoghesi, o irlandesi, oggi guardano con una certa perplessità agrodolce al piano greco e a certe temute arrendevolezze dell’Europa.
Vi sembra che la Grecia sia stata trattata troppo bene, rispetto alle condizioni che hanno dovuto affrontare in questi anni i vostri Paesi?
«Mettiamola così: in generale, per avere solidarietà dagli altri, devi anche tu essere solidale con loro. Bene, la Grecia ha chiesto e chiede la solidarietà dell’eurozona. Ma se poi cerca di avere più vantaggi e privilegi per i suoi cittadini, rispetto a quelli di tutti gli altri Paesi, è lei a non mostrarsi solidale». Ed è così che è andata? «Tsipras ha fatto troppa politica, in un momento così critico e su temi così drammatici». Qualche esempio? «Eccone subito uno, il più clamoroso. In media, nell’Ue viene assorbito dalle pensioni il 13% del Pil. In Grecia, la percentuale è invece del 17,5%. Ciò significa una sola cosa: che è logico, e basico, intervenire con una riforma per ridurre questo peso». Come? «Riducendo il numero dei prepensionamenti, e aumentando l’età media dell’andata in pensione. Lei immagini che una regione italiana dichiari di colpo: da noi si va in pensione a 58, 60 anni, e non a 67. Tutti direbbero: è pazzesco. Anche perché una decisione così è di competenza statale, non regionale. Eppure proprio questo, fatte le debite proporzioni, è avvenuto in Grecia rispetto al resto della Ue».
Un errore soltanto economico?
«Anche politico, naturalmente. E morale. Perché qui torniamo al tema della solidarietà: l’eurozona è e sarà solidale al suo interno se le norme dei singoli Paesi saranno armonizzate fra loro. Questa è la condizione prima. E perché questo accada, perché anche la Grecia abbia la solidarietà degli altri, bisogna per esempio che l’età del pensionamento dei suoi cittadini sia in linea con quella degli altri Stati. C’è un’altra cosa che non mi piace…». Quale? «Che Tsipras non può far pensare al suo popolo che l’Eurozona, e la Ue, siano un male. Perché questo è falso».
L’accordo sembrava alle porte, ora non più. Come andrà a finire?
«Sono ottimista. Il governo greco ha cominciato a capireche stare nel club dell’euro ha i suoi vantaggi, ma anche le sue norme e le sue condizioni. In spagnolo diciamo: “nuncas tarde se la dicha es buena”. E cioè: “meglio tardi che mai”».
Qualcuno dice ora che, dopo la Grecia, potrebbe essere la Spagna a tornare in una zona di rischio.
«La Spagna ha un governo, quello di Mariano Rajoy, che ha capito la necessità delle riforme. Oggi è alla testa della crescita, e della creazione di nuovi posti di lavoro. Ci sono molte più speranze rispetto a 5 anni fa. La Grecia ha invece perduto molto tempo. E poi non aveva capito la cosa più importante». E cioè? «Che il suo vero problema non è il debito pubblico. Ma la crescita, spinta dalle riforme. La ristrutturazione del debito è una battaglia persa. Syriza, Tsipras, avrebbero dovuto cercare fondi, aiuti, risorse, per la crescita. E Katainen (commissario europeo al lavoro, crescita, investimenti e competitività, ndr) era disposto ad aiutare la crescita della Grecia per attutire l’impatto di certe riforme». Accadrà ora? «Speriamo. La verità è che la Grecia ha avuto un governo irresponsabile che non capiva le sue priorità. Ora spero che abbia capito e continui a comprenderlo anche nei prossimi mesi. Questa volta, il riscatto è obbligato».
Tsipras non ha capito che il vero problema non è il debito ma la crescita spinta dalle riforme. La ristrutturazione del debito è una battaglia persa.
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